Lettere aperta ad Armida Barelli
Carissima Armida,
dopo aver letto le tue parole (scheda 7) è nata in noi l’esigenza di raccontare la nostra storia, vicina alla tua per difficoltà e tempi avversi.
Venne la terribile primavera del 2020. La diffusione di un virus sconosciuto, la chiusura della nostra amata Università Cattolica, l’intero Paese in lockdown, la crisi economica e sociale, furono storici eventi che vivemmo tutte.
Il 24 febbraio 2020 il Magnifico Rettore dell’Università, Franco Anelli, dichiarò l’interruzione temporanea di tutte le attività accademiche generando in tutte noi sentimenti contrastanti di confusione e speranza.
Con il passare dei giorni, la nostra speranza si affievolì sempre di più, mentre la confusione cominciò a far parte del nostro quotidiano.
La città di Milano si fermò: il nostro amato collegio Paolo VI si andò via via spopolando. Molte di noi, spaventate, preferirono far ritorno a casa dalle proprie famiglie e solo in poche rimasero fra le mura del collegio. Nonostante la distanza, ognuna di noi si preparava ad affrontare un’esperienza mai vissuta prima.
Ogni settimana eravamo in balia degli eventi, la nostra vita prima così frenetica si trasformò in uno stallo. E noi, dalle finestre delle nostre stanze in cui regnava la monotonia, eravamo spettatrici inconsapevoli di un mondo in continuo tumulto. Giorno dopo giorno, assistendo alle dirette del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, attendevamo esasperate una buona notizia che purtroppo non arrivava. Improvvisamente la nuova vita che avevamo costruito a Milano si sgretolò.
In un periodo così buio, non mancò però lo spiraglio di luce emanato dalla vita collegiale. Le iniziative spaziavano da incontri da remoto, attività ricreative e momenti di riflessione. La reciproca vicinanza spirituale ci diede la forza di affrontare il nostro cammino universitario.
Arrivò l’estate e con essa la temuta sessione d’esame. Ci ritrovammo tutte a doverla affrontare senza poterci riunire e condividere le nostre ansie e paure. Ma le cose stavano cambiando e la nostra speranza di poter riacquistare la nostra libertà e poter tornare alla vita di prima sembrava potersi realizzare.
Settembre fu la svolta, le Università riaprirono seppur con precauzioni e restrizioni, e potemmo riabbracciare quelle che erano le nostre abitudini, sebbene in passato ovvie, ora preziose.
Il collegio riacquistò nuova vita sperimentando idee alternative, affinché si potesse ricreare il perduto senso della collettività.
Nei mesi successivi, se la pandemia sembrava non cambiare sicuramente noi, invece, lo eravamo molto. Eravamo cambiate nell’aver acquisito la consapevolezza che è importante essere grate anche alle piccole cose. Avevamo imparato come il gesto d’affetto più semplice, l’abbraccio, non è poi così scontato.
Noi oggi come te allora, cara Armida, ci impegniamo ad aver fede e a sperare contro ogni speranza, certe che i semi che stiamo piantando grazie all’esperienza della nostra Università porteranno frutti.
Maria Chiara Altamore
Federica Gnoni
Pamela Petrella
Caterina Rafanelli
Vincenza Russo